Tra archeologia e bunker, il fascino e le contraddizioni dell’Albania

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Negli ultimi anni, il Paese balcanico si è conquistato una sua platea turistica, dopo il lungo black out da regime. Ma è nel 2017 che gli italiani sembrano averlo scoperto definitivamente. I numeri sono da piccolo boom. Scopriamo i suoi segreti
Anni fa chi viaggiava nella penisola balcanica doveva girare attorno all’Albania per proseguire. Oggi, in questo Paese che si è lasciato alle spalle un regime comunista di 46 anni che l’ha isolato dal resto del mondo, scopriamo una meta turistica. La vicinanza, il mare che specchia quello della Puglia e il costo contenuto della vita hanno convinto 182mila italiani da gennaio a luglio 2017 a passare le vacanze nella Terra delle Aquile, il 56% in più rispetto allo scorso anno. Le mete balneari del Sud, Saranda per prima, sono le predilette e le più affollate in alta stagione. Così come rientrano nei percorsi dei viaggiatori il sito archeologico di Butrinto e le città Argirocastro e Berat, che tanto custodiscono e raccontano del passato. Il Nord invece è meno esplorato. Eppure regala scenari naturali sorprendenti, scampati per ora alla rincorsa alla modernizzazione che sta facendo cambiare volto all’Albania.
Le strade per raggiungere quest’area montuosa, partendo da Durazzo o da Valona se si arriva dall’Italia con il traghetto, da Tirana se si è scelto l’areo, sono via via meno scorrevoli. Non esistono arterie veloci, il manto per lunghi tratti è sconnesso, i parapetti sono un optional, l’illuminazione anche. Non si sa esattamente cosa aspettarsi dopo ogni curva. Qua e là si scorgono dei bunker, lascito del passato. Ma le distanze non sono lunghe e Scutari, il capoluogo del Nord, si raggiunge in poco più di due ore dalla capitale. Shkoder, questo il nome locale della città, è vicina al lago omonimo condiviso con il Montenegro. Poco distante dal centro si trova il museo storico che durante il regime era un luogo di detenzione. Sono conservate alcune celle e la stanza delle torture. C’erano in città 23 luoghi simili per 24mila residenti. Sulla principale via pedonale del centro un altro pezzo di storia: il museo nazionale di fotografia Marubi. Pietro Marubi, piacentino, era fuggito dall’Italia perché coinvolto nell’assassinio del Duca di Parma Carlo III di Borbone. Arrivato a Scutari fondò uno studio fotografico. Era il 1856, la fotografia era giovanissima. Divenne ben presto punto di riferimento per chi poteva permettersi un ritratto. La sua arte fu tramandata per due generazioni fino a quando nel 1970 la famiglia fu costretta a donare l’immenso archivio al governo. In estate la città è vivace, i caffè sono pieni, le bici sfrecciano per le strade. Locali dove mangiare e sistemazioni per la notte, per qualsiasi tasca, non mancano. Tra i tanti ristoranti spiccano Villa Bekteshi (per la zuppa di uova e limone) ed Elita (per la carne marinata e cotta sotto le braci per oltre 12 ore), ma se si vuole consumare un autentico pranzo albanese meglio entrare in un mengjezore, nome dato a locali semplici e con pochi tavoli dove vengono serviti per colazione e pranzo gustosi piatti a base di carne e riso, accompagnati da insalate. Tra i luoghi dove soggiornare, l’accogliente Bulldgog Hostel & Club, gestito da una coppia italo-albanese.

Scutari è la porta di accesso per due luoghi incantati. Uno è Theth, villaggio montano sparpagliato in una valle lunga e stretta a circa 900 metri sul livello del mare e circondata da vette che raggiungono i 2500 metri. I punti di riferimento sono la chiesa con il piccolo cimitero, la scuola di colore verde-azzurro e dalla torre dove si richiudevano -secondo il Kanun, codice arcaico del Nord dell’Albania- le persone coinvolte in faide nel tentativo di trovare una pacificazione. Arrivarci è già un’avventura: ci vogliono almeno tre ore lungo una strada che nella parte finale si arrampica sulla montagna, sterrata e senza parapetto, tra boschi di faggi e pini. Occorre un fuoristrada. Tante agenzie locali e alberghi organizzano viaggio e pernottamento. Si arriva e sembra di essere sulle nostre Alpi: case basse dai tetti spioventi, vitellini, maialini e capre sui sentieri, lo scrosciare dell’acqua tra le pietre. Camminando per tre ore risalendo il corso d’acqua che passa ai piedi del villaggio si arriva al Syri i kalter (o Blue eye), una sorgente fredda in cui qualche turista ha il coraggio di tuffarsi. La passeggiata è impegnativa ma si può sempre chiamare un autista per accorciare il percorso. Più vicina, a 30 minuti da Theth, è la cascata Grunasi. Fermarsi a dormire in paese è quasi d’obbligo. Molti residenti hanno attrezzato le loro dimore per farne delle guest house. Sono sistemazioni sobrie con la luce elettrica a tratti molto debole tanto che per leggere bisogna aspettare la luce del giorno. Il “pacchetto”, per altro molto economico, comprende la cena a base di prodotti locali (pollo, riso, cetrioli, pomodori, formaggio simile alla feta) e al risveglio una colazione con uova fritte, latte appena munto, pane e burro fatti in casa e una marmellata densa e con pezzi di frutta. Chi è più allenato può cimentarsi in altre escursioni come partire da Theth per raggiungere il villaggio di Valbona addentrandosi nelle montagne lungo un cammino popolato da orsi, aquile e lupi. Occorrono circa 6 ore. Chi si è accampato per la notte lungo il tragitto racconta di aver trovato la mattina davanti alla tenda due cuccioli di orsi che giocavano. Meglio non accamparsi.
C’è un altro luogo del Nord incontaminato, che per ora non teme il cemento che sta soffocando i centri balneari del Sud. Come per Theth la strada per arrivarci, un’ora e mezzo circa da Scutari, non è incoraggiante ma la visione che si apre quando, uscendo da un tunnel, si arriva nel minuscolo molo di Koman ripaga della fatica di una strada tortuosa e povera di indicazioni. Da qui ogni giorno alle 9 partono due piccoli traghetti (uno Berisha, l’altro Rozafa) che in tre ore percorrono il fiume Drin fino a Fierze. Bisogna arrivare con ampio anticipo se si vuole traghettare con la macchina, anche una prenotazione telefonica non assicura il posto se si ritarda. Per essere certi si può raggiungere Koman la sera prima per dormire nell’essenziale hotel-ristorante del molo. L’arrivo è scenografico, lo sguardo si riempie: l’acqua, i due traghetti, l’hotel e, a destra, immensa, la parete di contenimento della diga. Siamo infatti a ridosso di una centrale idroelettrica. I traghetti stipano macchine, furgoncini e gommoni fino all’inverosimile, incastrandoli uno con l’altro, sfruttando ogni centimetro disponibile. Quindi partono, non sempre puntuali, e arrivano, anche dopo 4 ore dalla partenza. La velocità di navigazione è perfetta per godersi il panorama, si passa nel mezzo di montagne dalla vegetazione rigogliosa e intatta. Verde il colore del fiume, verde il paesaggio circostante. Si costeggiano baie e isolette, accarezzati dal sole e dal vento mentre si sta seduti sul tetto del traghetto, fino ad arrivare a Fierze dove un decrepito battello arrugginito cattura per primo gli sguardi. Da qui il confine con il Kosovo è a un’ora di macchina e può essere occasione per un nuovo viaggio./repubblica/