Europa, l’ingresso dell’Albania può salvare l’Italia dal dominio tedesco

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Se l’ allargamento dell’ Europa a Est ha esaltato la centralità tedesca, la mancata integrazione dei Balcani occidentali rischia di essere un’ occasione mancata per l’ Italia. La regione è un tradizionale focolaio di conflitti, alle cui conseguenze (dalla criminalità all’ immigrazione,al terrorismo islamico) siamo fatalmente tra i più esposti. Anche per questo Federico Niglia, docente di Storia contemporanea alla Luiss ed esperto dell’ area, indica tra le priorità della politica estera nazionale il rafforzamento dell’ asse con l’ Albania del primo ministro Edi Rama, il politico-artista (ha esposto alcune sue opere alla Biennale di Venezia) recentemente riconfermato alla testa del governo di Tirana.

Che cosa chiede l’ Albania all’ Italia?
«L’ Albania vuole aderire alla Ue e cerca in noi un partner che ne sostenga la causa. Per l’ Europa, a differenza della Serbia sulla quale pesa ancora l’ eredità del passato, l’ Albania è un Paese meno problematico: essendo più piccolo, è più “digeribile”. Il suo problema, però, è la ricezione non solo formale, ma sostanziale, dell’ acquis communautaire, l’ insieme delle norme comunitarie».

E l’ Italia che cosa può ottenere dall’ Albania?
«I governi di centrosinistra l’ hanno vista soprattutto come laboratorio di transizione: un’ Albania che si “normalizzasse” contribuirebbe a stabilizzare la regione. Aspetto non assente nell’ approccio del centrodestra, dove però è più forte l’ accento sulla prospettiva economica. Che vuol dire non solo delocalizzazione produttiva e scambi commerciali, ma anche grandi infrastrutture. Si pensi al dialogo sul nucleare ai tempi del governo Berlusconi, o alla centralità che assumerebbe l’ Adriatico in una prospettiva di dinamizzazione dei traffici marittimi: un dossier strategico per il nostro Paese».

Un’ Europa più adriatica renderebbe l’ Italia meno periferica nell’ Unione, riequilibrando il peso dell’ asse franco-tedesco?
«Credo di sì, ma non è soltanto una questione di “meridionalizzazione” dell’ Ue. Si tratterebbe di un passaggio da un’ Europa intesa soprattutto come spazio economico a un’ Europa politica. L’ Albania (e la Serbia) ci interessano dal punto di vista strategico, perché ci proietterebbero verso un’ area nella quale Russia e Turchia già giocano la loro partita».

L’ 11 ottobre, a Roma, il primo ministro albanese Rama, esprimendosi in ottimo italiano, ha invitato le nostre imprese a trasferirsi in Albania perché là il costo del lavoro è più conveniente, il peso del fisco minore e non ci sono sindacati che creano problemi. Una prospettiva che può ingolosire la singola impresa, ma che non sembra granché desiderabile per l’ economia italiana nel suo insieme.
«Premesso che la delocalizzazione verso l’ Albania è in gran parte già avvenuta, il discorso di Rama andrebbe allargato. Mi spiego. Si parla molto di macroregioni. Ebbene, in un quadro di partenariato balcanico, le aree meno avanzate potrebbero ospitare le produzioni con minore intensità tecnologica, mentre nelle aree più sviluppate si incentiverebbero gli investimenti in produzioni ad alta intensità di capitale e tecnologia. Certo, per tutto questo bisogna avere una politica industriale, in Italia termine tabù dagli anni ’90».

L’ Unione ha recentemente perso un suo membro, al suo interno si discute di Europa a due velocità, mentre voci autorevoli si levano a criticare l’ allargamento a Est. Non le sembra che i Balcani abbiano ormai perduto il treno europeo?
«Di certo l’ Europa ottimista di fine anni ’90 non tornerà più. Ma rimarrà comunque uno spazio di libertà, di integrazione, di crescente benessere in un contesto di diritti: ecco, è questo modello, un modello politico e non troppo sbilanciato sul dossier economico, il treno sul quale i Balcani occidentali possono ancora salire».

Non è stato un errore associare allargamento dell’ Ue e allargamento della Nato, sovrapporre europeismo e atlantismo?
«In passato è stato fisiologico, ma ora non possiamo più contemplare atlantismo e europeismo all’ unisono. Avere la Russia per nemica non aiuta: Mosca nella regione ha un’ influenza che non è solo economica o politica ma anche identitaria. Vale per la Serbia, ma anche per la Bulgaria, che ha una doppia anima: quella atlantica non ha cancellato quella che guarda a Est. È vero, l’ allargamento ha sviluppato una competizione tra Russia e Occidente, con risultati spesso non paganti né per l’ uno né per l’ altro blocco, visto che lo scontro induce i governi di alcuni Paesi dell’ area a giocare su più tavoli. Però il conflitto Russia-Occidente ha il suo epicentro nell’ Europa centrale e in Ucraina e sostiene un test quotidiano in Siria. Diciamo che nei Balcani passa la faglia meno problematica di questo dualismo. Ora, il buon stratega politico sceglie l’ ambito meno controverso e ne discute il più possibile per provare a riallacciare i rapporti. Ecco perché è importante parlare di Balcani: possono essere laboratorio di buone soluzioni per problemi più ampi».

di Alessandro Giorgiutti