Klaudio Ndoja, da profugo a protagonista in Serie A

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klaudio ndojaKlaudio Ndoja, Il Gladiatore, è ala grande e capitano degli Stings di Mantova grintoso, combattivo, pronto a sputare sangue in allenamento e in partita per la squadra.

Lo scorso 6 settembre è arrivato nelle librerie La morte è certa, la vita no. Storia di Klaudio Ndoja (Imprimatur), libro in cui – come è facile evincere dal titolo – si racconta delle vicende di Klaudio Ndoja, il primo cestista albanese a calcare i campi della Serie A italiana di pallacanestro. L’autore Michele Pettene ha scritto di un argomento quanto mai attuale, se rapportato all’emergenza migranti che sta tenendo banco in Europa nell’ultimo periodo.

La famiglia di Ndoja maturò la decisione di lasciare la propria città, Scutari, nel 1998, quando Klaudio era appena dodicenne, ma già conscio che lì non ci poteva essere futuro: la guerra civile imperversava e il paese era allo sfascio; vedere proiettili fendere l’aria era quotidianità, finché un giorno uno di questi colpì la sorella di Klaudio. Fu proprio questo che spinse la famiglia ad andarsene. Una delle vie di fuga era quella di raggiungere la Puglia via mare partendo dal porto di Valona, mettendosi nelle mani degli scafisti. Un milione e mezzo di lire il prezzo delle salvezza. Cifra esorbitante se si pensa che al tempo lo stipendio medio di un operaio – quale era il padre di Klaudio – in Albania era di circa centosettantamila lire al mese. Una traversata spaventosa, a bordo di un’imbarcazione traballante, addossati a decine di altri corpi e con i piedi poggiati su sacchi di cocaina. Sopra la testa gli elicotteri della Marina albanese che minacciavano di far fuoco se la nave non fosse tornata indietro.

Qualche mese prima, il 27 aprile 1997, tutti avevano assistito allo sfortunato viaggio della Kater i Rades, piccola e fatiscente motovedetta colma di profughi anch’essa partita dal porto di Valona. L’ondata migratoria proveniente dall’Albania aveva creato molti disagi al governo italiano del tempo e la tensione tra i due paesi era alle stelle: da Roma arrivò l’ordine di bloccare in ogni modo le imbarcazioni con a bordo i profughi. Così successe alla Kater i Rades, che nel canale di Otranto venne speronata per ben due volte dalla Sibilla, una ben più robusta nave della Marina militare italiana. La motovedetta venne ribaltata dagli urti. Nell’incidente morirono ben 57 persone, a cui si aggiungono 24 corpi che non furono mai ritrovati, in quello che fu uno dei più grandi disastri della Marina italiana negli ultimi vent’anni. Il vascello su cui viaggiarono Klaudio e la sua famiglia riuscì invece a sbarcare in Puglia: gli Ndoja erano clandestini, con appena cinquecentomila lire in tasca.

Se la storia italiana di Klaudio parte dalla Puglia, la svolta – tra anni di discriminazioni e il timore di essere rispedito in Albania, con l’unica soddisfazione della pallacanestro – arriva in Lombardia, dove il padre trova lavoro in una fabbrica e Klaudio, che già aveva giocato in Albania, ha la possibilità di giocare nel campionato CSI. Questo è il trampolino di lancio che gli permette di entrare nel settore giovanile di Desio, per poi passare a Casalpusterlengo – dove è compagno di Danilo Gallinari. La carriera a poco a poco decolla e nella stagione 2007/08 c’è l’opportunità di disputare la prima stagione in Serie A vestendo la maglia di Capo d’Orlando. Il suo compagno di squadra e playmaker titolare è Gianmarco Pozzecco che, nella prefazione del libro, racconta di come inizialmente lui e gli altri compagni prendessero in giro Klaudio facendo riferimento ai barconi e ai profughi dell’Albania, prima di scoprire come realmente erano andate le cose. L’altro tassello fondamentale nella carriera di Klaudio è la promozione in Serie A nel 2012 con Brindisi, da capitano.

Ora Ndoja è ala grande e capitano degli Stings di Mantova: dopo la terza giornata del campionato di A2 la squadra è l’unica ancora a punteggio pieno insieme a Treviso. Il soprannome, Il Gladiatore, tradisce l’attitudine e lo stile di gioco di Klaudio: grintoso, combattivo, pronto a sputare sangue in allenamento e in partita per la squadra. /EastJournal/