Ilir, l’albanese che dà lavoro agli italiani

1180
0

ilir quarri albaneseIlir, l’albanese del barcone che oggi fa lavorare gli italiani

A 14 anni emigra da Valona a Bari con lo zio. Ora si occupa di edilizia con una ventina di dipendenti

SPRESIANO (TREVISO) Il presidente della società è il padre, i due figli sono il direttore e il vicedirettore. Si occupa di edilizia e di servizi, in una declinazione evoluta, impiega una ventina di addetti, poco più della metà di nazionalità straniera. Gli italiani sono le figure di spicco in area tecnica e manageriale ed alcuni di essi provengono da aziende come Impregilo o Benetton. Fattura un paio di milioni, opera in un capannone nella zona industriale di Spresiano ed è in crescita. Fin qui , quel l a di «I tq Project» è la storia felicemente ordinaria di una piccola impresa familiare di successo nel cuore del nordest, cioè il territorio in cui più che altrove questo è un modello radicato e tradizionale. La sorpresa sta nel nome sul biglietto da visita. Ilir Quarri, fondatore e direttore generale, ha 35 anni, è nato in Albania ed è vissuto lì fino all’età di 14 anni. Poi, con uno zio, un giorno sceglie di salpare da Valona con destinazione Bari, per provare a vivere meglio in una comunità di connazionali in Puglia.

Qui si impegna nelle coltivazioni agricole come nei piccoli cantieri. Un’avventura accesa dal sogno italiano di allora, fatta di fatiche e mestieri saltuari, fino a quando, ancora minorenne, dei parenti che già vivono nel Trevigiano lo invitano. L’eccellenza degli europei dell’Est, si sa, è l’edilizia ed è in questo settore che il giovane Illir si inserisce, per accorgersi presto, però, che una condizione da subalterno gli sta stretta. Ha già respirato abbastanza aria trevigiana, a 19 anni registra una partita Iva ed avvia una propria impresa, «Edilizia e Scavi», precisa e puntuale. Vive di subappalti, ovvio, ma riscuote la fiducia di colossi blasonati e dunque si ingrandisce. Lavora anche alla costruzione del Passante di Mestre, al servizio di una sigla come Grigolin, e cresce fino a quando cresce l’edilizia. Nel 2007 la «Costruzioni e Scavi» arriva ad una sessantina di dipendenti regolari, connazionali di Illir ma anche kosovari, romeni e moldavi, ma la bolla dell’edilizia, sul finire del decennio, scoppia. Non si appaltano più né grandi né piccole opere, le famiglie faticano ad ottenere mutui per la casa e, con quei chiari di luna, è escluso che qualcuno pensi ad erigere altri capannoni industriali. «Edilizia e Scavi» non tiene più, le commesse si azzerano e molti dei debitori, a loro volta, collassano e non pagano. A dover essere pagati sono però gli operai di Illir e per questo, prima di chiudere l’azienda, lui vende tutte le macchine e li salda fino all’ultimo euro.

Finita qui? «Neanche per idea, nel frattempo mi ero guardato attorno ed avevo capito che nel silicio c’era un filone d’oro». Il nuovo business porta un nuovo nome, nasce «Itq», l’embrione della attuale «Itq Project», che impara alla svelta dove procurarsi i pannelli fotovoltaici, gli inverter e il resto, ed a cavalcare la prima ondata robusta di incentivi statali. Di quel «conto energia», soprattutto, che permette di tappezzare di impianti coperture industriali ed aree agricole e di vendere ad ottime condizioni al distributore elettrico nazionale le vagonate di kWh generati. Itq accelera, fa risultato ed investe molto senza dimenticarsi di accantonare e fa bene perché anche questo settore declina. «La crisi arriva quando l’azienda è ormai in sicurezza e, soprattutto, quando abbiamo già visto come differenziare il business». Il campo di «Itq Project» adesso è quello delle manutenzioni e delle bonifiche, dal verde alla rimozione dell’eternit, dall’efficientamento dei sistemi di climatizzazione alle facciate ventilate. I clienti sono grossi, dai gruppi bancari veneti ai consorzi agrari, e la società è strutturata.

«Ho voluto inserirmi nelle associazioni di categoria, sono iscritto a Unindustria e presto entrerò anche nell’Ance. L’Italia è uno splendido mondo di artigiani ma ad un certo punto devi lasciare la tuta e indossare lo smoking». È un radicamento nel mondo veneto che Illir vuole irrobustire anche su canali non professionali. «Credo alla responsabilità sociale di un’impresa, vorrei sostenere i progetti delle amministrazioni locali per le comunità. È importante saper restituire ad un territorio quello che ti ha dato per poter vivere e crescere ».

/corrieredelveneto.corriere.it/